Viaggiare con una telecamera dà molti problemi

Negli anni ’90 viaggiare con una cinepresa/telecamera dava molti problemi.  Non sto parlando di una piccola palmare da mettere in una sacca a spalla ma di una telecamera professionale, (Una RED per esempio) con tanto di cavalletto a testa fluidodinamica, radio-microfoni, schede video, un riflesso pieghevole, un telo da green screen arrotolabile e qualche accessorio indispensabile come i vari caricabatterie, le batterie di riserva, etc.

Il testo che segue è ancora parzialmente valido se si pensa a un documentario classico ma i materiali sono cambiati in modo totale e in questi anni (2021/22) i droni hanno sconvolto il modo di filmare, per non parlare delle mirrorless di alta gamma e le macchine fotografiche a 360° che vi permettono di filmare senza troppo badare al punto di vista per poi decidere l’angolo visuale e l’inquadratura scelta mentre siete seduti in montaggio

Michele sulla cima Monte Bianco WEB
Sulla cima del Monte Bianco con il minimo indispensabile. L’espressione da stravolto dice che anche il minimo è già troppo a 4810 metri senza acclimatazione.

Quando viaggiavo negli anni 90 avevo sempre paura. Mi hanno già derubato. A nulla sono valse tutte le precauzioni classiche: non lasciare mai incustoditi i bagagli, chiudere le casse del materiale a chiave, andare alla toilette con cinepresa e cavalletto, etc. In Tailandia, dove ero stato invitato dai tailandesi per una manifestazione che avrei dovuto filmare per loro, mi hanno svaligiato la camera che avevo appena lasciato per presenziare al cocktail di benvenuto, ovviamente con una chiave elettronica falsa e con un “palo” che li avvertisse quando sarei risalito in camera.

Fu un furto su commissione con tanto di chiave elettronica falsa o copiata da qualche complice interno. Dico di commissione perché fummo derubati solo io e un fotografo giapponese che aveva due sistemi Nikon F4 completi! Eravamo coloro che avevano visibilmente le attrezzature migliori. Ben riconoscibili nel giro turistico tra l’aeroporto e l’hotel durante il quale ci avevano fatto vedere alcune delle bellezze del luogo. Eravamo stati seguiti dai ladri che dovevano essere già d’accordo con qualcuno dell’hotel che gli disse in che camera eravamo stati messi e magari aveva dato loro il passe-partout !  La Thailand Air, che mi aveva invitato, promise di rifondermi il costo della telecamera e degli obiettivi…. ma ovviamente questo non accadde mai. Grazie Thailand Air per il trattamento speciale. Avete perso una decina di clienti in un colpo solo. per due anni feci pubblicità contro la loro compagnia aerea e non solo!!! Se pensate che il quartiere Forcella di Napoli sia pericoloso vuol dire che non conoscete la Tailandia.

Ecco quindi che viaggiare con la cinepresa al seguito cambia completamente le regole. Tutto è  improvvisamente subordinato alla sicurezza, alla salvaguardia del materiale e alla sua protezione da scossoni, pioggia, sabbia e chi più ne ha più ne metta.

La prima cosa da fare è acquistare una cassa che protegga la maggior parte del materiale. Io comprai una Pelikan (sicuramente la migliore al mondo) che, allora, mi permetteva di infilarci un’ Arriflex SRII. La cassa è completamente stagna e a tenuta d’aria. Ci potete nuotare sotto a una cascata e non entrerà una sola goccia d’acqua. Potete credermi, dato che per il film Canyoning ho disceso tutte le rapide che si vedono nel video appoggiato alla mia cassa…

All’interno (dipende da che misura avete scelto) ci starà la telecamera o una mirrorless (oggi le cineprese in pellicola non le usa più nessuno, nei viaggi quando si gira un documentario) uns scelta di obiettivi, un gimbal e uno o due radio-microfoni, una pelle di daino due batterie di riserva e almeno tre o quattro schede video. Lo so è tanto, ma è anche il minimo per filmare seriamente. Con la steadycam (oggi si parla piuttosto di gimbal a mano) si poteva girare in bici, in auto, o a piedi e filmare come se aveste avuto una cameracar, potevate fare delle interviste in movimento senza essere costretti a inchiodare in modo innaturale il vostro intervistato (per questo sono indispensabili i radio-microfoni che vi danno molta libertà di movimento.) Lo so, sono banalità ma che servono a dare la dimensione del problema.

Una volta verificato di avere tutto il vostro materiale eravate pronti a partire. Prima però sarebbe utile leggere qualche libro sul soggetto del vostro viaggio e magari preparare una specie di shooting list. Una volta sul posto sarà facile farsi prendere dall’entusiasmo per le luci e le atmosfere del luogo e dimenticare certe riprese che si riveleranno fondamentali per il montaggio. (oggi molti video bypassano il problema infilando una dissolvenza a nero dietro l’altra ma quello non è cinema…) Una buona shooting list vi eviterà questo spiacevole (e costoso) inconveniente, soprattutto se il documentario è sponsorizzato e richiede scene speciali…  Inoltre potrete segnare su un apposito form che vi sarete costruiti con un data base che troverete su OpenOffice.org (che è gratuito) la lista di ogni ripresa.

Ogni ripresa dovrà avere una serie di caselle dove scrivere il nome degli intervistati, del luogo, numeri di telefono, indirizzi ecc. in modo da poter recuperare certe informazioni una volta tornati a casa. Non c’è di peggio che non riconoscere certe riprese corte o dei primi piani dopo che avete nella scheda magari decine di riprese fatte con diverse telecamere in contemporanea, o quasi, e non sapere che sono editabili nella stessa scena perché non le riconoscete….

Un’altra idea è quella di scrivere una specie di storia sotto forma di sceneggiatura (con esplicitate le scene per poter segnare le scene che avete girato e quelle che mancano). La shooting list è la lista di una serie di riprese che immaginate di poter girare sul posto sulla scorta della guida di viaggio o di altre informazioni che avete raccolto prima di partire, mentre la storia contiene generalmente delle scene che non hanno una precisa collocazione geografica ma che andranno necessariamente girate sul posto. Immaginate a un certo punto di voler dire che avete sognato quel posto per anni ma che adesso ne siete un poco delusi. La frase deve essere “appoggiata” su delle immagini. Ma quali? Magari sul posto potete trovare una location orribile o potete filmare il/la vostra compagno/a di viaggio con l’aria un pò schifata che si guarda attorno. Questa è il genere di ripresa che non avrete sicuramente scritto nella shooting list ma che sarebbe utile girare per il successivo montaggio. Ricordatevi sempre che tutto ciò che è pensiero, supposizione, idea, immaginazione, credevo che…, pensavo che…. nel cinema non esiste. Servono dei dialoghi o delle scene che permettano di esprimere i pensieri con il minimo delle parole. E’ inutile ripetere a parole ciò che si vede benissimo sullo schermo, no?

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La Laguna Verde, che nella foto è stranamente ghiacciata, si trova al confine tra la Bolivia e il Cile. Se si pensa che a 4.300 l’acqua di questo lago salato normalmente non gela se non al di sotto dei -15° ( per la presenza di minerali disciolti nell’acqua) si capisce che le condizioni non sono certo ottimali per filmare. In effetti quella mattina registrai  sul diario -22° !

In Bolivia ci siamo andati per percorrere l’altopiano andino che è lungo 900 km: dal lago Titicaca (accento sulla prima a) fino al confine con l’Argentina. Bé nessuno mi aveva detto che la parte a sud del Salar de Uyuni (che è la più bella in assoluto) non ha alcuna possibilità di rifornimento e che quindi le auto sono costrette a portarsi dietro i bidoni per la benzina. Sembra una banalità ma i fuoristrada che affittate (con il guidatore) prendono con loro lo stretto indispensabile per il giro che voi avete pagato all’agenzia in quanto sono solo intermediari delle agenzie locali che li strangolano, dando loro delle cifre massime da spendere per ogni voce del viaggio, chilometri compresi. Al momento giusto, quando chiederete al guidatore di fare due o tre passaggi sullo sfondo del vulcano/ laguna/ quel che volete voi… vi risponderà che non può perché se no non riuscirà più a riportarvi a casa…. e voi sarete fregati per il costo di poche decine di euro di benzina che avreste pagato senza problema se solo aveste saputo che le cose stavano così. Informazione. Bella parola. Purtroppo molte volte certe cose le si scoprono solo all’ultimo momento. La shooting list e una specie di storyboard scritto vi permetteranno di rimanere con i piedi per terra quando l’incazzatura vi farà dimenticare anche le cose più ovvie (dovrete precedere l’auto a piedi, con telecamera e cavalletto in spalla per, diciamo, 1 km onde poterla filmare in avvicinamento e un altro km all’inseguimento quando vorrete filmarla in allontanamento) .

Nei viaggi capita questo e altro. Capita anche che dopo aver raggranellato mezzo milione di euro per un film su una spedizione in Patagonia, una regista brasiliana si sia trovata di fronte a un gruppo di alpinisti che, dopo 3 anni di allenamenti (filmati), aveva paura di rischiare sulla montagna trovata in condizioni molto dure. La poveretta girò a suo favore quello che poteva essere un disastro, visto che gli alpinisti con varie scuse non si schiodavano dalle tende del campo base… e raccontò con interviste separate ai vari alpinisti le ragioni per cui (paura, sfiducia etc) avevano scoperto di non essere all’altezza dell’impresa. Geniale. Vinse il primo premio al festival di Trento e in molti altri festival ma la sua sceneggiatura (e la shooting list ovviamente) dovettero essere riscritte in tenda mentre la tempesta imperversava.

La Laguna Colorada, sempre in Bolivia,  è posta a oltre 4.200 mt e sebbene sui bordi siano presenti delle sorgenti termali a oltre 30° la temperatura dell’aria al mattino poco prima dell’alba (e già, bisogna essere già pronti ben prima, quando è ancora notte…) era vicina ai -24°! L’acqua della sorgente servirà al massimo a far riprendere sensibilità alle dita tra una ripresa e l’altra.

Ok adesso una clip del viaggio in Bolivia. Il documentario dura in origine 54′ ed è stato venduto alla TSI